L’esperienza di Gianstefano sul cammino

Cammino dei briganti
Abruzzo, prima settimana di Ottobre.

Questo non vuole essere un diario di un percorso fatto insieme alle mie sorelle, ma un percorso familiare , un ritrovamento tra fratelli non normale come una cena, un caffè, quattro chiacchere, un pranzo con i nipoti a Natale o in altre occasioni che ci sono state e ci saranno ancora in una famiglia unita e che sta bene insieme.

Un ritrovamento non usuale quindi: sei giorni insieme in cammino, alla fine delle tappe in un solo ambiente mangiando, riposando e dormendo insieme, condividendo ogni momento della giornata senza dover parlare e non sentendo l’imbarazzo del silenzio, rispettando i pensieri di cascuno di noi, condividendo qualche volta ricordi comuni o sensazioni, commentando i sentieri o i boschi attraversati e anche la pioggia che insieme ci ha bagnati. Abbiamo scoperto insieme, anche senza volerlo, comportamenti e approcci alle cose, che di noi non conoscevamo o delle quali ci eravamo dimenticati: ed è stato bello.

Il diario delle giornate di cammino lo farà meglio di me Assunta, se vorrà farlo insieme a Elisabetta.

Vorrei invece scrivere di qualche momento, di qualche posto visto che mi ha particolarmente colpito: non sono mancati in questo viaggio, perchè di viaggio si tratta, non di banale escursione nei boschi o di sentieri percorsi, e tantomeno di quello che è di moda chiamare “trekking” in quella neolingua che non condivido.

Camminare: questa parola riassume il significato di questo viaggio e non solo per l’ovvia ragione che il cammino è stato il principale motivo e la ragione primaria di questa avventura; cammminare viaggiando dà un aspetto diverso all’atto fisico dell’andare da un posto all’altro: si cammina in molti modi, andando a fare la spesa, a comprare il giornale, passeggiando per la città. Ma tra una partenza e un arrivo in tante tappe in un percorso motivato da un progetto di viaggio, l’atto fisico del cammino e la fatica che l’atto genera diventa valore in sé: ti consente di stare solo con te stesso nei tuoi pensieri; camminando senti la terra,senti la differenza tra i terreni, senti la loro storia fatta da innumerevoli passi prima dei tuoi, passi di viandanti, di pellegrini, di soldati, di antiche transumanze. Camminare ti consente di vedere le cose che incontri, siano panorami, muri, boschi antichi villaggi,da un punto di vista che solo il camminare te ne dà possibilità e che la fatica valorizza. E il camminare è strettamente associato al silenzio: nel silenzio i sentieri parlano e ti raccontano di chi di li è passato, senti gli alberi dei boschi che si parlano tra loro, senti le foglie secche che calpesti e il rumore dei ciottoli che il tuo passo sposta, l’aria che respiri e che passa tra i rami e le foglie degli alberi. Compagno indispensabile in questo viaggio, e in altri viaggi, è lo zaino: prepararlo e affardellarlo è già l’atto che ti prepara al percorso annunciato, caricarlo sulle spalle è l’inizio di qusto percorso che è tuo e si genera con la fatica del cammino; scaricarlo e la leggerezza delle spalle libere dal peso, è la conferma che quella fatica valeva la pena di essere fatta; in più il il peso dello zaino ti regola il passo e lo rende più sicuro.

Camminare in un viaggio quindi: in un territorio a me sconosciuto, nel silenzio delle sue montagne e dei paesi abbandonati; il silenzio dei boschi non rotto da turisti rumorosi, ma da viaggiatori come noi che probabilmente, come noi, sentivano necessità di rispettarlo.

Anche nei paesi vuoti, con le porte e le finestre chiuse, il silenzio consentiva di leggere la loro storia e il loro divenire in un tempo fermato: le abitazioni decadenti ammassate in una urbanistica antica condivisa con rovine dei terremoti parlavano di chi se ne era andato.

Ecco, il mio ricordo più importante di questo viaggio è questo silenzio dominante, e anche Assunta ed Elisabetta credo condividessero questo aspetto perchè le parole e i discorsi tra noi erano, istintivamente solo quelli necessari: solo in una casa di tappa, incontrando l’unico gruppo di esursionisti trovati nel viaggio, ci perdemmo con loro in una chiaccherata lunga, forse per uscire da questo silenzio.

Non sono propenso a usare parole come magia, momenti o luoghi magici, eppure in questo viaggio alcuni di questi luoghi, queste parole sono adatte a descriverli: non sono estraneo a queste sensazioni provate in altri percorsi, in altre montagne, percorrendo altri sentieri e in altri boschi; sono convinto, senza andare in inutili spiritualismi o sciocchi romanticismi, che esistano, nel sottosuolo, linee di forza, punti di incontro di queste linee telluriche che favoriscono il recepire sensazioni non comuni; del resto, meglio di quanto io non potrò mai fare, queste sensazioni li descrive Paolo Rumiz in uno dei suoi ultimi libri: “Una voce dal profondo”; non si spiegherebbero altrimenti le collocazioni in luoghi sperduti e spesso irraggiungibili, di chiese, monasteri, cappelle, eremi, villaggi antichi isolati che non sono lì collocati meramente per ragioni di difesa. E tutto questo nei secoli cosiddetti “bui”, i secoli del romanico con la sua potenza architettonica a protezione delle antiche strade e asilo a monaci pelegrinanti. Non mancano gli esempi di questi nodi di potenze profonde da me sentite: Monserrat e San Pere de Roda in Catalogna; san Gilles, Suillac, Mont San Michel in Francia; Sacra di San Michele , l’Isola di San Giulio sul lago d’Orta, Il santuario di Oropa con la sua Madonna nera che richiama Monserrat; un particolare accenno alla chiesa di San Giovanni sul Montorfano sopra il lago di Mergozzo: che ci facesse questa magnifica chiesa dell’XI secolo su un terrazzamento tra pareti scoscese di granito in completo isolamento, non ha spegazioni diverse che questi punti di forza. Altri sono gli esempi che avevano ben compreso i Benedettini che da Norcia, terra di terremoti, si diffusero in Italia e in Europa seguendo un percorso che ancora Rumiz ben descrive in un altro dei suoi libri di viaggi. “il filo infinito”

Ecco, nel nostro viaggio, alcuni di quei punti di forza, presenti forse solo nella mia immaginazione:

il fontanile romano prima di arrivare ad Alba Fucens, città romana fondata nel terzo secolo a.c. Il luogo archeologico, ben conservato e visitabile, dà dimostrazione della sua importanza economica e strategica nei secoli fino al medioevo. In cima al colle sovrastante il sito, c’è una chiesa costruita fin dal settimo secolo, sulle rovine di un tempio romano utilizzando i materiali della città, in particolare le colonne del foro che sorreggono la navata principale, e ricostruita dopo un terremoto. Non siamo riusciti a visitarla, ma basta la sua struttura esterna a darne merito e valore. Siamo arrivati al fontanile romano sotto la pioggia uscendo da una stradina cupa in una atmostera di attesa: il fontanile non è restaurato: da un alto muro di pietre squadrate sporgono due tubi dai quali esce l’acqua che cade nelle vasche con funzione di lavatoi, il tutto d’epoca originale e mantenuta nel tempo. L’unica cosa non d’epoca romana è una stupida tettoia di cemento novecentesca. Il luogo è abbandonato, la mancanza di restauro e l’abbandono lo rende affascinante: le pietre coperte di muschio, la pavimentazione di pietre sconnesse immerse nell’acqua per la giornata di pioggia, le vasche con il muschio galleggiante, perfino l’estraneità della tettoia di cemento ne danno un senso di mistero. Non si può fare a meno di pensare alle lavandaie romane che scendevano a usare quelle vasche, e la tettoia estranea si collega alle lavandaie che salivano dal paese sottostante a fare lo stesso lavoro, uguale a quello di duemila anni fa.

La pioggia e il semibuio della giornata umida aumentava quell’aspetto misterioso e fortificava la mia convinzione che non sempre il restauro sia utile per dare una lettura storica dei monumenti anzi, spesso li mortifica con una visione didascalica seppur corretta e toglie agli stessi luoghi la vita vissuta.

Quell’ambiente che ho cercato di descrivere mi ha ricordato le stampe del settecentesco Piranesi, mirabile esempio di descrizione di luoghi vissuti.

Nella tappa che ci porta a Massa d’Albe, incontriamo la chiesa romanica: una delle più belle chiese che, un appassionato di romanico quale sono, abbia mai visto.

Ancora, la collocazione sul territorio riprende quanto scrivevo prima: senza apparente ragione economica o altro, la chiesa sta lì nel vuoto disabitato, in un ambiente splendido alla fine di una strada sterrata che scende da un altopiano verde di erba e di pini mughi dove si sentivano i cervi bramire nelle lotte per le femmine.

Certamente la chiesa è stata rifugio, ospitalità di viandanti e di chiunque nei secoli passasse di lì, ma il nodo di quelle forze sotterranee è la prima ragione della sua collocazione, dimostrata dal profilo del tetto che si allinea con il profilo del monte Velino, allineamento certamente voluto dai costruttori: la potenza del profilo del monte si trasmette alla chiesa la cui facciata ne riceve la forza.

Riusciamo a farcela aprire ed entrando si resta a bocca aperta per la bellezza delle strutture: di un bianco abbagliante dovuto alla polvere di marmo spalmata su colonne, muri, archi, capitelli; strutture pulite, senza contaminazioni successive come spesso accade.

Bianco reso più vivo da una trave di legno scuro e scolpito in bassorilievo che traversa la navata sopra l’altare, e dagli affreschi sapientemente collocati sulle pareti, anche questi magnificamente conservati. Bianco che riceve la luce dalle finestre e la diffonde in tutto l’interno eliminando quasi le ombre e il buio che fanno così parte delle architetture romaniche e della loro mistica.

La sapienza e le capacità dei costruttori rendono il silenzio interno vivo, risonante dell’eco dei canti gregoriani che l’hanno riempita; le decorazioni in bassorilievo sentono di inserimenti di cultura islamica dovuti ai benedettini di cui la chiesa fu proprietà per secoli.

La vista di questo capolavoro meritava e giustificava l’intero viaggio.

Due esempi tra i molti che hanno avuto importanza in questo viaggio, che si avvalorano dei sentieri che li collegano: sentieri, stade sterrate, brevi tratti di asfalto; percorsi in ambienti con caratteristiche diverse: boschi, praterie, prati alti, coltivazioni, allevamenti, paesi abbarbicati sui pendii di colline. Camminare da senso a tutte queste diversità ambientali, ne coglie i significati e la storia: raggiungere quella chiesa in automobile non consente la stessa lettura che è resa possibile con il deposito dello zaino dopo una lunga camminata; forse sta anche in questo il successo che i Cammini e i Pellegrinaggi stanno ritrovando.
Sentieri come quello che ci ha consentito di scendere in un antico faggeto in un vallone scuro, sentiero con tornanti stretti per la forte pendenza, che passava accanto a faggi centenari; un dirupo senza sottobosco, come tutti i faggeti, di terra nera umida e quasi buio per il tetto di foglie alte sui tronchi lisci che partivano dal tronco di base altrettanto nero e cosparso di muschio.

O un altro sentiero che percorreva un canyon, una sorta di taglio nella dorsale di una collina, profondo e stretto, di faticosa risalita, con scaloni di pietre che si dovevano arrampicare; ma la fatica necessaria per percorrerlo è stata compensata dall’uscita in boschi di pini mughi, le radure cosparse di funghi e l’arrivo in praterie piene di sole.

Ancora, queste praterie si raggiungono traversando un lungo muro di pietre a secco che parla della fatica dei pastori che l’hanno costruito raccogliendo le pietre disseminate nei prati e accumulate con antica sapienza come raccontano i terrazzamenti e gli antichi alpeggi che danno senso alla storia e alla fatica del vivere nelle nostre montagne.

Questa fatica la senti nel silenzio rotto dal rumore delle tue scarpe sui ciottoli o nella morbidezza dell’erba nei sentieri che ti portano da una tappa all’altra e nel piacere di toglerti lo zaino dalle spalle all’arrivo dove ti aspetta la accoglienza di persone straordinarie.

Mi auguro che questo cammino mantenga queste caratteristiche di viaggio attraverso la sua storia, e non sia rovinato dal chiasso di un turismo cieco e sordo, ma la oggettiva difficoltà di percorrenza forse seleziona e selezionerà chi lo percorrerà.

Gianstefano BoraniI

Faggeti

Cattedrali di alberi
Colonne di fusti puliti,
navate di foglie verdi e viola,
che diventano tappeti rossi
d’autunno.
Squarci tra i rami e le foglie:
finestre istoriate dove passa il sole,
macchie di luce che illuminano,
luci di giorno abbaglianti.
Di notte riempiti di stelle e di luna.
Misteriosi silenzi, fruscii di foglie secche;
antiche sacralità nutrite
dal liscio dei tronchi e dall’altezza dei rami.
Boschi di faggi col suolo pulito da erbe,
e con colori di fiori
protetti da foglie rosse che cadono
silenziosamente coprendo la terra
e le radici dei tronchi che corrono,
prendendo i massi con forti spire.
Boschi di faggi: arcani silenzi e mistero.

Il silenzio

Il silenzio cercato nei boschi
e nei sentieri che li tagliano;
il silenzio formato da rumori,
rumori tranquilli di foglie che nascono
sui rami in primavera;
e che cadono nel tempo d’autunno.
Silenzio di piante che mormorano
le parole nell’aria che filtra tra i rami.
Scricchiolii di rami secchi
intrecciati da rampicanti,
che li tengono vivi
nel verde delle foglie.
Il silenzio dei fiori che si mescolano
al verde dell’erba dei prati,
e rompono i tappeti gialli tra le piante.
Silenzio di rigagnoli che scorrono
timidi e formano pozze umide

nei sentieri rotti dal tempo e dai passi.
Il silenzio che sale dalle valli
profonde e scure,
ancora immerse nel buio notturno
riempito dai rumori
che la notte porta con sé,
per donarli al giorno
che li muta e li schiarisce.
Silenzio del cammino nell’ombra
non ancora rotta dalla luce,
silenzio dei passi nella luce del sole
che riscalda e toglie l’umidità dell’alba.
Silenzio di antichi alpeggi
che risuona di voci e di fatica

nelle pietre diroccate;
muri che guardano altri muri
e insieme guardano il vuoto davanti a loro.
Rumori leggeri che ti prendono
e riempiono il vuoto dei pensieri.
Silenzio di pensieri e di parole non dette,
trattenute dalla solitudine del cammino
Parole inutili, rumori molesti
estranei alla pace degli altri rumori.

Camminare

Camminare nel silenzio,
nel silenzio dei boschi.
Nel silenzio dei colli.
Camminare sui sassi
dei sentieri
che segnano i monti,
sugli acciottolati
che percorrono i colli.
Antichi percorsi
nel profumo e nel colore
di foglie d’autunno.
Nella luce del sole
filtrante dai rami.
Camminare,
accompagnati dai pensieri,
dalla pace di sé,

dalla bella fatica,
dal rumore del fiato e dei passi.
Camminare…

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